Oggi è martedì e stamattina mi sono alzato pensando che sarebbe stato bello dover partire, prendere un treno, viaggiare per almeno quattro o cinque ore, leggere nel frattempo, arrivare in un’altra città e lavorare da lì per una settimana, provando a vedere come respirano gli altri. Poi alla fine godersi il fine settimana in quella città, attraversare le sue piazze, famigliarizzare velocemente con le sue abitudini, e tornare a casa di domenica sera adesso che la domenica sera è molto più buia di qualche settimana fa. Inizia a far freddo e dopo il cambio d’orario il sole se ne va intorno alle cinque del pomeriggio.

Ho sempre avuto paura che le cose si adagiassero, un po’ per pigrizia un po’ per naturale conformazione, quasi involontariamente, sulla routine. Come se il loro incedere prendesse forma dal passato, dal ripetersi di alcune formule. Ed è per questo che stamattina, come altre mattine, altri pomeriggi e altre sere, ho pensato che sarebbe stato bello trovarsi in un altro posto, per un tempo ristretto. Non c’è mai nella mia immaginazione la necessità di pensare uno spostamento più o meno definitivo, si tratta quasi sempre di una evasione temporanea, di una parentesi. Una parentesi che è però spaziale.

Immagino di voler fare quello che faccio quotidianamente nella mia piccola città in un’altra, per un tempo limitato — una settimana, dieci giorni. Ho come l’impressione, così, che quella ripetizione non si potrà trasformare in routine. Cambiare contesto significa necessariamente cambiare anche il contenuto che si sviluppa al suo interno; non per questo migliorarlo, ma di certo cambiarlo, aprirlo a stimoli diversi, influenzarlo e assoggettarlo a metriche inedite. Per questo quando vado in un’altra città mi piace (oltre a scoprirla, a vederla in orari e in momenti diversi) fare quello che farei nella mia di città.

Ho aperto il mio computer e risposto a delle email di lavoro in un bar di Rotterdam; ho scritto un articolo nella casa presa in affitto a Napoli; ho lavorato a una campagna pubblicitaria da un ufficio condiviso di Milano; ho letto un saggio nella minuscola biblioteca di una città di mare della costa toscana…

Io non voglio andarmene per scappare, o per insofferenza.
Ogni tanto io vorrei andare per vedermi da un’altra parte.
Ma soprattutto, talvolta, io vorrei andarmene da qui perché, alla fine, qui sia costretto a tornare.

Photo by Mike Kotsch on Unsplash


Saverio Mariani

Author Saverio Mariani

Laureato in Filosofia ha svolto ricerca a Macerata, Napoli e Roma, salvo tornare sempre nella sua Umbria dove c'è il silenzio giusto per suonare le sue chitarre. Ha scritto saggi per riviste scientifiche, un libro su Bergson (ETS, Pisa 2018), alcuni racconti usciti su Minima&Moralia e varie altre cose. Sua madre dice che compra troppi libri, per l'Istat è un lettore forte.

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