Può sembrare un’ovvietà, eppure spesso, laddove non ti aspetti nulla di che, trovi un elemento – il più delle volte staccato da tutto il contesto, radicalmente diverso – improvviso, bello e che ti fulmina.

Un venerdì pomeriggio d’inizio novembre. Il primo timidissimo freddo che però ti arrossa un po’ le guance non ancora abituate. Passeggiare distrattamente.
Davanti alla sede bianca e gelida di una banca, nel corso centrale di Foligno, c’è un ragazzo che suona. Microfono (con modulatore a pedale per i cori), chitarra acustica nera senza spalla, un piccolo ampli, leggio alto come a proteggersi e un cembalo a terra da utilizzare con parsimonia, per enfatizzare alcuni ritornelli. Un cane tranquillissimo e senza guinzaglio a guardarlo, quasi incantato.

 

 

Il busker si chiama Paolo; l’ho saputo dopo prendendo un suo biglietto da visita e dandogli un’offerta più che doverosa. Ha una voce davvero morbida, capace di utilizzare il falsetto con una facilità che fa paura. Mi immobilizza una versione lenta e struggente di You ‘ve got a friend di James Taylor. Rimango lì, tra la vetrina di un rivenditore di cellulari e uno di calze per donne.

Paolo non è illuminato come dovrebbe, eppure suona e canta in modo meraviglioso. Ti guarda in faccia, così come guarda negli occhi le persone che sembrano infastidite dalla sua presenza.
Eppure canta. Felice.
Trasmette quella felicità anche a me e ad Elena.

Ci fermiamo ancora per cinque o sei canzoni, insieme ad altre persone che vanno e vengono.

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